Due parole sul blog

Se pensate che qui si parli di Fate, Elfi e Creature simili, beh, avete ragione.
Quasi.
La verità è che qui la vera protagonista è la Terra, com'è o come avrebbe potuto essere se...Se l'uomo non fosse com'è, se si fosse evoluto diversamente, se le cose fossero andate in un altro modo...

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Su, su, guardate, guardate...

venerdì 22 aprile 2016

Origini.

Questo è un racconto scritto molto tempo fa, ma davvero parecchio.
Non era in programma e non avevo in mente di pubblicarlo, fino a ieri. Poi mi è venuto in mente, così, chissà perché, forse perché in questo periodo sento un sacco di teorie, di discussioni, di scoperte reali o presunte...
L'ho recuperato, con l'idea di fare un bell'editing, che di errori se ne trovano sempre, e poi mi sono accorta che oggi era la giornata della Terra, grazie ai doodle di Google.

Non lo sapevo o non ci avevo pensato, perché per me ogni giorno è il giorno della Terra.
Così, appena ho avuto un attimo, mi sono messa a correggere e ho fatto in tempo a preparare il post un po' prima di mezzanotte.
Giusto in tempo.

E' interessante come, nell'immaginario collettivo, gli "alieni" siano sempre kkattivi, invidiosi degli umani (?!?), alla ricerca di pianeti da depredare dopo aver reso inabitabile il loro mondo, avendolo sfruttato senza limiti.
Generalmente, sono pure privi di anima (O_O), e vogliono studiare l'uomo, che invece ce l'ha, per potergliela sottrarre (O_O).
Ora, la stupidità assoluta di queste teorie/fantasie sarebbe utilissima per una tesi di psichiatria.
1) L'anima soltanto nella specie umana è la prima e la più assoluta delle idiozie: OGNI cosa vivente nell'Universo è dotata di anima e ogni anima, pur diversa, è composta della stessa sostanza.
Che poi sia corrotta, "oscura", piccola, o grande e splendente, è un altro paio di maniche.
2) Invidiosi di che, di grazia? Dovrebbero essere VERAMENTE stupidi!
3)L'idea che esseri provenienti da altri mondi debbano essere predatori, invasori e assassini, è, stranamente, l'autoritratto della specie umana terrestre. Una forma proiettiva del proprio essere, in cui la predazione spietata non è che la descrizione del mondo dei terrestri. E' molto probabile che in giro ci siano specie predatorie, ed è altrettanto probabile che proprio queste siano le progenitrici della massa predatoria...
4) Ma perché delle specie evolute dovrebbero aver necessariamente depredato il proprio mondo, fino a renderlo inabitabile?
La faccenda è di nuovo assolutamente proiettiva: gli umanoidi terricoli non riescono ad immaginare una specie in grado di evolversi nell'armonia, essendo essi completamente disarmonici.
Se poi, per caso, trovano, all’interno della loro specie, una razza armonica, fanno di tutto per sterminarla. Ovviamente.

Ho così voluto buttare le basi per un (futuro) confronto tra due diversi ed opposti modi di essere: simbionti e parassiti, sperando di dare una visione abbastanza chiara dei due concetti.
La specie predatoria, qui è vista quasi solo di sfuggita, perché il racconto verte sulla specie simbionte e sul suo lungo cammino per arrivare... beh, lo vedrete.
Bacini.


ORIGINI


Era venuto il tempo.

Il nostro Sole stava morendo, presto avrebbe inghiottito i suoi figli più prossimi e lasciato gli altri in un eterno crepuscolo.
Per oltre sessantacinquemila anni eravamo riusciti a prolungare la sua vita con continui apporti di enormi quantità di Idrogeno ed Elio, ma, ugualmente, ogni cosa sfioriva: per quanto fingessimo di non pensarci, per quanto volgessimo altrove lo sguardo, eravamo consapevoli fin nelle ossa di essere sempre più vicini alla fine e vivevamo in uno stato di profonda malinconia ormai da millenni.

Eravamo intensamente legati al nostro mondo: ai suoi lunghi tramonti, alle acque chiare, alle grandi Montagne, alle sconfinate foreste, agli insondabili abissi oceanici, alle gelide calotte polari, ad ogni aspetto che si manifestasse nella sua magnificenza divina e, come il nostro sole, anche noi morivamo lentamente.

Così venne il giorno in cui non si poté più rimandare: l’astro era sempre più instabile, già cominciava a rilasciare tenui, stracciati veli di materia dai colori sfumanti nello spazio intorno, ad avvertirci che non c’era più tempo.
Negli ultimi decenni avevamo cercato mondi abitabili dove poter ricostruire la nostra civiltà e la nostra storia, ci eravamo preparati per quel lungo viaggio e ora un’immensa flotta di navi stellari stazionava in orbita, in attesa.
Eravamo pochi per un grande pianeta doppio: circa duecentotrenta milioni di individui umanoidi, poco più di cento milioni di una specie alata, originaria del pianeta gemello, e poi animali, piante, semi, rocce, acqua e minerali preziosi.
 
Un tempo eravamo oltre settecento milioni, ma avevamo smesso a poco a poco di procreare, finché, nell’ultimo decennio, i neonati erano diventati meno di un milione in tutto.
Non eravamo sterili: avevamo soltanto il cuore infranto.

Ogni nave portava anche una sconfinata quantità di dati, alcuni scritti su fogli di carbonio monoatomico, altri in forma di minuscoli mattoncini compatti: quella con il nostro mondo binario era una lunghissima, meravigliosa storia d’amore di cui volevamo serbare ogni attimo.

Al momento della partenza, sui pianeti restarono circa ventidue milioni di umani più una dozzina di milioni di alati: erano tutti anziani, alcuni avevano perduto chi amavano, altri non volevano lasciare la nostra terra.
Sarebbero rimasti là, in attesa della fine, sarebbero diventati una cosa con il Sole, si sarebbero trasformati in nubi stellari, in colori, silenzio, si sarebbero fusi in terra e cielo, nell’attesa di un nuovo inizio.
 
La flotta partì in silenzio. Ognuno restò fino all’ultimo a guardare i nostri pianeti per portarli con sé, per tenerli nel cuore, negli occhi e nella mente il più possibile, e continuammo a fissare lo sguardo in quel punto anche quando non vi fu più null’altro che il buio dello spazio profondo.
Era un addio, ed era quanto di più definitivo.
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Umat si sentiva inquieto, quel mattino.
 
L’aria era tiepida, il cielo terso, ma non aveva ancora visto il vecchio Kaam, l’ultimo Figlio della Terra.
 
Egli lo aveva cresciuto come un padre, negli ultimi quindici anni terrestri, da quando la sua famiglia era scomparsa durante una pioggia di meteore, ma era già vecchio a quell’epoca e i Kheiani avevano una vita che superava di poco il secolo.
 
Deglutì un paio di volte prima di entrare nella capanna, temendo di trovarlo senza vita, ma si accorse, con un misto di ansia e sollievo, che non c’era.
Socchiuse gli occhi cercando di vedere nella sua mente dove potesse essersi diretto, poi si avviò di corsa verso un’ansa riparata del fiume.
Kaam era seduto su una roccia e fissava l’acqua.
“Padre?” sussurrò Umat.
Il vecchio sorrise, voltandosi appena. “Vieni, Umat, siediti qui, vicino a me, e raccontami le storie della tua gente ancora una volta.”
Umat si intenerì: il vecchio adorava ascoltare le storie dei Mureani, di come avessero lasciato, in un tempo remotissimo, il loro mondo morente, avessero creato una grande civiltà su una terra dai due soli e poi, alcuni di loro, avessero trovato una casa da sogno su Thuimaatu e là avessero vissuto per quasi due milioni di anni, tra infinite meraviglie.
Raccontò alcune storie apprese dai banchi di memoria della nave, smantellata ai tempi dei suoi nonni, di cui alcune ben note al vecchio, altre che aveva scoperto di recente ed egli non conosceva.
Il ragazzo intercalava la sua lingua con espressioni Kheiane, perché, avendo vissuto con Kaam dall’età di sette anni, era in grado di pronunciare correttamente molti termini rettiloidi, impresa quasi impossibile per la maggior parte della sua gente, che di solito comunicava con il popolo verde attraverso immagini telepatiche, linguaggio gestuale oppure, poiché entrambe le razze comprendevano perfettamente l’una la lingua dell’altro, esprimendosi ognuno nel proprio idioma.
Kaam ascoltava appoggiato al bastone, il muso sulle zampe rugose.

“È tutto molto bello, non è vero? Ma dimmi, Figlio del Cielo, non mi hai mai parlato di quegli esseri malvagi, né lo hanno mai fatto i tuoi genitori o i tuoi nonni. Tu sai chi fossero, che aspetto avessero?”
Umat non voleva rispondere a quella domanda per non ferire il vecchio, perché i feroci Anunnak avevano la sua stessa origine rettile: “Erano esseri terribili, molto, molto diversi da noi” il vecchio ebbe un guizzo di sospetto nello sguardo: “Da voi? O da noi tutti?”
“Da noi tutti: Mureani, Mangal, Kheiani… Diversi! E mostri, padre.” Rispose quieto.

Il Kheiano annuì, gli occhi socchiusi ad osservarlo divertiti. “Va bene. Sono certo che mi stai dicendo la verità. Ma non tutta la verità!” ridacchiò, una risata rasposa nella gola di lucertola.

“Io sono l’ultimo della mia stirpe, Umat, figlio mio.
Quando non sarò più, non rimarrà più nulla di milioni di soli di storia.
Noi siamo stati un popolo semplice, non abbiamo scritto pagine straordinarie e piene di meraviglie come voi, non abbiamo eretto templi o costruzioni favolose, inventato macchine o scolpito statue.
La nostra vita si snodava tra i grandi alberi, occupandoci delle cose quotidiane. Godevamo di ciò che la terra ci offriva, curandoci delle creature che abitavano il mondo accanto a noi, dedicandoci alla pesca, alla caccia, ai piccoli.
Non rimarrà di noi che qualche ricordo, semplici mura di contenimento, argini per i fiumi più impetuosi, sentieri che svaniranno con le piogge in poche stagioni.

Anche le storie cantate dai nostri bardi sono ormai quasi tutte svanite nel vento. Quelle che io sentivo da bambino, già parlavano della fine del mondo, dell’arrivo dal cielo della Gente dalle Ali Bianche, di malinconia.
Io sono vecchio, non c’è più nessuno. Il nostro tempo è finito.

Nelle vostre mani lasciamo il nostro mondo, perché ne abbiate cura.
Avete riportato la luce del sole, chetato la rabbia delle Montagne di Fuoco, spazzato i cieli dalle nubi malvagie.
Avete preso le nostre mani nelle vostre e ci avete condotti attraverso la lunga notte, al sicuro, oltre un buio che non aveva aurora.
Questa terra è vostra.
Lo è che io lo voglia oppure no, perché il resto non è che desolazione. Il mio popolo, attraverso l’ultimo di noi, ve la affida con speranza e rispetto, perché il vostro operato è stato il nostro unico ed ultimo conforto.

La tua gente ha molta fiducia in te, Umat: sono certo che sarai presto il loro capo e che sarai un buon capo. Io metto il mio mondo nelle tue mani, perché tu lo renda prospero e meraviglioso, simile al mondo che vi è stato strappato, altrettanto ricco e colmo di doni e perché il cielo possa tornare a vedere danze e udire canti.

Voglio che, dopo la mia scomparsa, tu dia a questa terra il nome del tuo mondo d’origine e qui ricostruisca un nuovo regno.
Voglio che tu regni come Re del Sole, e che i tuoi figli siano Stelle della Terra.
Proteggetela, come lei vi protegge.
Abbiatene cura, come ha avuto cura di voi.
Amatela come vi ama, come noi l’abbiamo amata.
Ci è stata madre, vi sarà madre.
Ascoltate la sua voce e i vostri passi saranno sicuri.
Beneditela, poiché da essa siete benedetti.
Rispettatela, perché è immensa la sua saggezza, anche se a volte potrete non comprenderne le azioni.
Abbiate eterna gratitudine, perché vi ha accolti quando non avevate più un mondo, quando non avevate più nemmeno il conforto di un punto nel cielo dove posare lo sguardo.
Questo giorno segna la fine di una lunga era: domani sarà una Terra nuova e sarà vostra.
Questo io ti ordino, come ultimo desiderio di un vecchio, l’ultimo vecchio della sua specie.”

Umat inghiottì le lacrime: “Ma non sei così vecchio, padre. E sei ancora in forze, non puoi andartene ora!”
Kaam rise: “Ora, domani, tra un anno, che importa? Sono più vecchio di quanto vorrei, figlio mio, e sono stanco, la mia gente mi manca.
Ovunque siano, desidero unirmi a loro, anche se questo significa doverti lasciare. Ma non ti lascio solo: ti lascio alla tua gente perché ne diventi la guida.
Sarai la sua storia, passata e futura, hai un domani.
Permettimi di riposare, permetti al mio spirito di unirsi agli spiriti del mio popolo.”
Umat abbracciò il vecchio, senza più protestare, stringendo i denti per non piangere.

Più tardi catturò un grosso pesce, lo pulì, lo cucinò su pietre roventi e lo consumò insieme a Kaam, suo padre.
Restarono a lungo a guardare l’acqua scorrere ai loro piedi, poi si avviarono alla capanna di Kaam, perché era stanco e voleva distendersi.

Quando scese la notte, il giovane Mureano rimase accanto al vecchio addormentato, finché capì che era il momento di lasciarlo in solitudine, perché così doveva essere.
Gli rimboccò la coperta, gli diede un bacio sulla fronte squamosa, gli pose al fianco il bastone, l’arco e la faretra colma di frecce, la pietra bianca della sua famiglia e, in silenzio, uscì nella notte.
Iah splendeva chiara, silenziosa e malinconica nel cielo cristallino.


¬¬¬

mercoledì 20 aprile 2016

DMT dopo il bagno...

Ecco, il nostro centrale per collier è tornato bellino tutto argentato.
Ora bisogna fargli il laccio.
Io volevo il cuoio, ma mi dicono che sarebbe interessante una treccia di alcantara con fregi in argento.
Per il momento, questo è l'effetto.
Prima:
 Dopo:
Ora vediamo di fare il resto.
Alla prossima!

mercoledì 13 aprile 2016

Collier "DMT" W.I.P.

...a volte si sbaglia.
Avevo regalato ad un'amica un sassolino simpatico. Pensavo lo infilasse in saccoccia e via, invece lei lo guarda, me lo rifila e fa: "Bene. Montalo. Non mi interessa cosa ne fai, hai carta bianca."

Si potrebbe pensare che "Oh, wow, che goduria, faccio quello che voglio!", ma non è così: il sassolino è una sciocchezzuola da tipo 3 euro, ma una frase del genere lascia intuire che la ragatta non si aspettasse un ciondolino con un gancetto insulso, no?
Sennò avrebbe detto: "Mi metti qualcosina così posso portarlo?"
Beh, ho fatto e rifatto e disfatto tre volte, poi ho pensato: "Voglio giocare! Prendo, lo faccio in Bronzo e poi lo buttiamo in Argento."

Faccio un disegnino, ma...beh, all'inizio, appena creato il sito per il sassolino, mi rendo conto di aver sbagliato e...beh...ecco i WIP:
Come si vede dal disegno avrebbe dovuto uscire un centrale per un collier con a destra due volute attaccate e piuttosto spesse e dietro alcune onde di sostegno a partire dal doppio filo di fissaggio sul davanti.
Le volute e l'occhiello a sinistra, ovviamente, devono essere più in alto del bordo superiore della pietra, altrimenti il centrale si sbilancia e si rovescia, al di là del fatto che risulterebbe goffo e sgradevole.
Ottimo sulla carta, ma...
 Come si vede nella foto sopra potrebbe forse ancora essere salvabile, ma, appoggiando la pietra, si vede chiaramente che c'è qualcosa che non va: l'occhiello e la prima voluta a destra sono decisamente più in basso della pietra. Che fare? Disfare e sprecare, come si vede dagli appunti, 160+120cm di Bronzo, così? No, non costa molto, vero, ma a me dispiace...
Non resta che tentare di salvare il tutto, lasciando che il metallo faccia "quello che vuole".
 
Ok, lo ammetto: arrivata a questo punto la tentazione di buttare via tutto era notevole...
E' terribile la differenza tra "come avrebbe dovuto essere" e come sta diventando...BLEAH!
Mi viene la curiosità...andiamo avanti.
 Nella mia idea questa spirale avrebbe dovuto essere diversa, più compatta e passare dietro, sostenuta dalle volute degli altri fili rovesciati, ma essendo sbilanciato e con gli spazi alterati, mi butto senza speranza in un tentativo di vediamocosanetiriamofuori.
La spirale è troppo allargata e non arriva a schiacciare il lato della pietra, come avrebbe dovuto. Avrei ancora avuto speranza di usare i fili di ritorno della voluta/occhiello a destra, ma visto quanto risulti in basso, non si può, dovrò usare quei fili per creare altre volute più in alto.
 
Finita la spirale avvolta sulla struttura, sistemati 5 Granatini e un paio di sferette di Quarzo, inizio la voluta "alternativa", ma non verrà lontanamente come nei miei progetti, non avendo la compagna cui appoggiarsi.
Fissati i fili d'avanzo alla piccola voluta sbilanciata, rigiro la voluta in alto "di faccia". C'è un motivo valido, a parte che sta meglio visivamente.
Beh, che farci? Ammetto, avrei voluto fare la voluta in alto molto più ampia, a ventaglio, ma...non so, è venuta così. Sono stata interrotta da telefonate di inquilini disperati (che chiamano me invece del padrone di casa...), idraulici, vicina, marito della vicina, gatti e non ricordo cosa.
Disfare la voluta mi ha messo l'ansia, così sono rimasta in tema: l'ampiezza della spirale a sinistra è più o meno della stessa ampiezza, ci sta.
 
Sistemati cinque piccoli Granati sulla voluta, non voglio usare il filo 0.7 per fermarli, considerando che fermarli è in realtà semplicemente formale, in quanto i Granatini sono forati.
Non avrei potuto continuare con il gioiello sbagliato se avessi usato pietre non forate.
Inizialmente, infatti, avrei dovuto usare Diamantini di Herkimer, ma questo mi avrebbe obbligata a cambiare completamente il progetto.
C'è un ovale di copertura vuoto, non sta bene così...
quindi?
Come si vede, aver usato il Bronzo 0.4 non è stata una grande idea: avevo poco spazio tra le pietre e i bordi della voluta e non avevo un Bronzo 0.5 o 0.6, quindi dovevo scegliere tra spessore uguale e quasi la metà di uno 0.4.
Ho quindi semplicemente fatto un semplice giro attorno ai Granatini e poi, invece di cucire con il filo 0.2, ho fermato il disegno con lo stesso 0.4.
Infine, ho chiuso il vuoto ovale con un altro Granato.
 
Perché l'ho chiamato "DMT"? Ma ovvio! Non sembra uscito da un trip di quelli tosti??
E pensare che ho fatto tutto senza uso di sostanze psicoattive, almeno non endogene. O_O
No, davvero, giuro, eh! Tuuutto nature!
 
E ora non resta che buttare l'aggeggio in galvanica e poi fare il cordoncino in Alcantara.
Per inciso: poiché alcantara o cuoio non sono argentabili, ovviamente qualsiasi cosa faccia sul cordoncino sarà in Argento.
Alla prossima puntata...

domenica 3 aprile 2016

Braccialettino misto e orecchie bagnate in Argento

Eccomi.
So che non posto da una vita, ma, anche se non sembra, sto lavorando un sacco.
Presto si cominceranno a vedere i risultati.
Spero.

Ecco un piccolo esperimento, un braccialettino molto semplice per un'amica.
Lei adora l'Occhio di Tigre, ma non aveva idea che esistesse sia rosso che blu, quando le ho mostrato quello rosso (del quale io vado matta!) le sono usciti i cuoricini dagli occhi.

Così, ecco l'esperimento:
 
La montatura è in Bronzo successivamente bagnato in Argento, il bracciale è una treccia a 4 fili in alcantara con un filo d'Argento (vero), con perline d'acqua dolce.
I terminali sono argentati, ma comprati così, spero non si rovinino perché non potremmo ribagnarli in argento, vista la presenza di perle e tessuto.
La pietra mi piace un sacco...il resto, mah! Non so, è simpatico, credo.
 
 
Inoltre, dopo lunga e penosa malattia, ho finalmente finito le orecchie ordinate anni mesi fa.

La prima era stata tranquillamente fatta e poi bagnata in Argento, la seconda...non si sa perché, non prendeva l'argentatura.
Così ho dovuto cambiare il Rame. Ma o era di durezza e colore diverso, quindi risultava diverso il modello e anche il risultato dell'argentatura.
Alla fine ho preso i due pezzi con cui avevo fatto il primo e, con una giunta, ho fatto un'orecchia il più possibile uguale...
Questa volta l'argentatura avrebbe dovuto prendere, ma non ha preso come nella prima.
Perché, dal momento che la bobina era proprio la stessa?
Non sappiamo, l'orafo ha provato tutto, compreso a palladiare (un trattamento che si fa solo ed esclusivamente con l'oro bianco), ma non è servito a molto.
 
Presumo che il problema sia che si tratta di Rame "non tarnish", cioè trattato in modo da non ossidare, come ormai succede con tutti i metalli in commercio...evidentemente, il trattamento non solo rende il metallo refrattario ad altri trattamenti assolutamente leciti, ma non si riesce nemmeno a "scrostare" tale trattamento dal povero metallo!
 
Il Bronzo, invece, prende tranquillamente.
Ecco cosa sono riuscita ad ottenere:
Ed ecco com'è indossato:
 
 
E con questo, alla prossima!