Non era in programma e non avevo in mente di pubblicarlo, fino a ieri. Poi mi è venuto in mente, così, chissà perché, forse perché in questo periodo sento un sacco di teorie, di discussioni, di scoperte reali o presunte...
L'ho recuperato, con l'idea di fare un bell'editing, che di errori se ne trovano sempre, e poi mi sono accorta che oggi era la giornata della Terra, grazie ai doodle di Google.
Non lo sapevo o non ci avevo pensato, perché per me ogni giorno è il giorno della Terra.
Così, appena ho avuto un attimo, mi sono messa a correggere e ho fatto in tempo a preparare il post un po' prima di mezzanotte.
Giusto in tempo.
E' interessante come, nell'immaginario collettivo, gli "alieni" siano sempre kkattivi, invidiosi degli umani (?!?), alla ricerca di pianeti da depredare dopo aver reso inabitabile il loro mondo, avendolo sfruttato senza limiti.
Generalmente, sono pure privi di anima (O_O), e
vogliono studiare l'uomo, che invece ce l'ha, per potergliela sottrarre (O_O).
Ora, la stupidità assoluta di queste teorie/fantasie
sarebbe utilissima per una tesi di psichiatria.
1) L'anima
soltanto nella specie umana è la prima e la più assoluta delle idiozie: OGNI
cosa vivente nell'Universo è dotata di anima e ogni anima, pur diversa, è
composta della stessa sostanza.
Che poi sia corrotta, "oscura", piccola, o
grande e splendente, è un altro paio di maniche.
2) Invidiosi di
che, di grazia? Dovrebbero essere VERAMENTE stupidi!
3)L'idea che
esseri provenienti da altri mondi debbano essere predatori, invasori e
assassini, è, stranamente, l'autoritratto della specie umana terrestre. Una
forma proiettiva del proprio essere, in cui la predazione spietata non è che la
descrizione del mondo dei terrestri. E' molto probabile che in giro ci siano specie predatorie, ed è altrettanto probabile che proprio queste siano le progenitrici della massa predatoria...
4) Ma perché
delle specie evolute dovrebbero aver necessariamente
depredato il proprio mondo, fino a renderlo inabitabile?
La faccenda è di nuovo assolutamente proiettiva: gli umanoidi
terricoli non riescono ad immaginare una specie in grado di evolversi
nell'armonia, essendo essi completamente disarmonici.
Se poi, per caso, trovano, all’interno della loro
specie, una razza armonica, fanno di tutto per sterminarla. Ovviamente.
Ho così voluto buttare le basi per un (futuro) confronto tra due diversi ed opposti modi di essere: simbionti e parassiti, sperando di dare una visione abbastanza chiara dei due concetti.
La specie predatoria, qui è vista quasi solo di sfuggita, perché il racconto verte sulla specie simbionte e sul suo lungo cammino per arrivare... beh, lo vedrete.
Bacini.
Ho così voluto buttare le basi per un (futuro) confronto tra due diversi ed opposti modi di essere: simbionti e parassiti, sperando di dare una visione abbastanza chiara dei due concetti.
La specie predatoria, qui è vista quasi solo di sfuggita, perché il racconto verte sulla specie simbionte e sul suo lungo cammino per arrivare... beh, lo vedrete.
Bacini.
ORIGINI
Era venuto il tempo.
Il nostro Sole stava morendo, presto avrebbe inghiottito i suoi figli più prossimi e lasciato gli altri in un eterno crepuscolo.
Per
oltre sessantacinquemila
anni eravamo riusciti a prolungare la sua vita con continui apporti di enormi
quantità di Idrogeno ed Elio, ma, ugualmente, ogni cosa sfioriva: per quanto
fingessimo di non pensarci, per quanto volgessimo altrove lo sguardo, eravamo
consapevoli fin nelle ossa di essere sempre più vicini alla fine e vivevamo in
uno stato di profonda malinconia ormai da millenni.Il nostro Sole stava morendo, presto avrebbe inghiottito i suoi figli più prossimi e lasciato gli altri in un eterno crepuscolo.
Eravamo intensamente legati al nostro mondo: ai suoi lunghi tramonti, alle acque chiare, alle grandi Montagne, alle sconfinate foreste, agli insondabili abissi oceanici, alle gelide calotte polari, ad ogni aspetto che si manifestasse nella sua magnificenza divina e, come il nostro sole, anche noi morivamo lentamente.
Così venne il giorno in cui non si poté più rimandare: l’astro era sempre più instabile, già cominciava a rilasciare tenui, stracciati veli di materia dai colori sfumanti nello spazio intorno, ad avvertirci che non c’era più tempo.
Negli ultimi decenni avevamo cercato mondi abitabili dove poter ricostruire la nostra civiltà e la nostra storia, ci eravamo preparati per quel lungo viaggio e ora un’immensa flotta di navi stellari stazionava in orbita, in attesa.
Eravamo pochi per un grande pianeta doppio: circa duecentotrenta milioni di individui umanoidi, poco più di cento milioni di una specie alata, originaria del pianeta gemello, e poi animali, piante, semi, rocce, acqua e minerali preziosi.
Un tempo eravamo oltre settecento
milioni, ma avevamo smesso a poco a poco di procreare, finché, nell’ultimo
decennio, i neonati erano diventati meno di un milione in tutto.
Non eravamo sterili: avevamo soltanto
il cuore infranto.Ogni nave portava anche una sconfinata quantità di dati, alcuni scritti su fogli di carbonio monoatomico, altri in forma di minuscoli mattoncini compatti: quella con il nostro mondo binario era una lunghissima, meravigliosa storia d’amore di cui volevamo serbare ogni attimo.
Al momento della partenza, sui
pianeti restarono circa ventidue milioni di umani più una dozzina di milioni
di alati: erano tutti anziani, alcuni avevano perduto chi amavano, altri non
volevano lasciare la nostra terra.
Sarebbero rimasti là, in attesa della
fine, sarebbero diventati una cosa con il Sole, si sarebbero trasformati in
nubi stellari, in colori, silenzio, si sarebbero fusi in terra e cielo,
nell’attesa di un nuovo inizio.
La flotta partì in silenzio. Ognuno
restò fino all’ultimo a guardare i nostri pianeti per portarli con sé, per
tenerli nel cuore, negli occhi e nella mente il più possibile, e continuammo a
fissare lo sguardo in quel punto anche quando non vi fu più null’altro che il
buio dello spazio profondo.
Era un addio, ed era quanto di più
definitivo.
Umat
si sentiva inquieto, quel mattino.
L’aria
era tiepida, il cielo terso, ma non aveva ancora visto il vecchio Kaam,
l’ultimo Figlio della Terra.
Egli
lo aveva cresciuto come un padre, negli ultimi quindici anni terrestri, da
quando la sua famiglia era scomparsa durante una pioggia di meteore, ma era già
vecchio a quell’epoca e i Kheiani avevano una vita che superava di poco il
secolo.
Socchiuse gli occhi cercando di vedere nella sua mente dove potesse essersi diretto, poi si avviò di corsa verso un’ansa riparata del fiume.
Kaam era seduto su una roccia e
fissava l’acqua.
“Padre?” sussurrò Umat.
Il vecchio sorrise, voltandosi
appena. “Vieni, Umat, siediti qui, vicino a me, e raccontami le storie della
tua gente ancora una volta.” “Padre?” sussurrò Umat.
Umat si intenerì: il vecchio adorava ascoltare le storie dei Mureani, di come avessero lasciato, in un tempo remotissimo, il loro mondo morente, avessero creato una grande civiltà su una terra dai due soli e poi, alcuni di loro, avessero trovato una casa da sogno su Thuimaatu e là avessero vissuto per quasi due milioni di anni, tra infinite meraviglie.
Raccontò alcune storie apprese dai
banchi di memoria della nave, smantellata ai tempi dei suoi nonni, di cui
alcune ben note al vecchio, altre che aveva scoperto di recente ed egli non
conosceva.
Il ragazzo intercalava la sua lingua
con espressioni Kheiane, perché, avendo vissuto con Kaam dall’età di sette
anni, era in grado di pronunciare correttamente molti termini rettiloidi,
impresa quasi impossibile per la maggior parte della sua gente, che di solito
comunicava con il popolo verde attraverso immagini telepatiche, linguaggio
gestuale oppure, poiché entrambe le razze comprendevano perfettamente l’una la
lingua dell’altro, esprimendosi ognuno nel proprio idioma.
Kaam ascoltava appoggiato al bastone,
il muso sulle zampe rugose.“È tutto molto bello, non è vero? Ma dimmi, Figlio del Cielo, non mi hai mai parlato di quegli esseri malvagi, né lo hanno mai fatto i tuoi genitori o i tuoi nonni. Tu sai chi fossero, che aspetto avessero?”
Umat non voleva rispondere a quella domanda per non ferire il vecchio, perché i feroci Anunnak avevano la sua stessa origine rettile: “Erano esseri terribili, molto, molto diversi da noi” il vecchio ebbe un guizzo di sospetto nello sguardo: “Da voi? O da noi tutti?”
“Da noi tutti: Mureani, Mangal, Kheiani… Diversi! E mostri, padre.” Rispose quieto.
Il Kheiano annuì, gli occhi socchiusi ad osservarlo divertiti. “Va bene. Sono certo che mi stai dicendo la verità. Ma non tutta la verità!” ridacchiò, una risata rasposa nella gola di lucertola.
“Io sono l’ultimo della mia stirpe, Umat, figlio mio.
Quando non sarò più, non rimarrà più nulla di milioni di soli di storia.
Noi siamo stati un popolo semplice, non abbiamo scritto pagine straordinarie e piene di meraviglie come voi, non abbiamo eretto templi o costruzioni favolose, inventato macchine o scolpito statue.
La nostra vita si snodava tra i grandi alberi, occupandoci delle cose quotidiane. Godevamo di ciò che la terra ci offriva, curandoci delle creature che abitavano il mondo accanto a noi, dedicandoci alla pesca, alla caccia, ai piccoli.
Non rimarrà di noi che qualche ricordo, semplici mura di contenimento, argini per i fiumi più impetuosi, sentieri che svaniranno con le piogge in poche stagioni.
Anche le storie cantate dai nostri bardi sono ormai quasi tutte svanite nel vento. Quelle che io sentivo da bambino, già parlavano della fine del mondo, dell’arrivo dal cielo della Gente dalle Ali Bianche, di malinconia.
Io sono vecchio, non c’è più nessuno. Il nostro tempo è finito.
Nelle vostre mani lasciamo il nostro mondo, perché ne abbiate cura.
Avete riportato la luce del sole, chetato la rabbia delle Montagne di Fuoco, spazzato i cieli dalle nubi malvagie.
Avete preso le nostre mani nelle vostre e ci avete condotti attraverso la lunga notte, al sicuro, oltre un buio che non aveva aurora.
Questa terra è vostra.
Lo è che io lo voglia oppure no, perché il resto non è che desolazione. Il mio popolo, attraverso l’ultimo di noi, ve la affida con speranza e rispetto, perché il vostro operato è stato il nostro unico ed ultimo conforto.
La tua gente ha molta fiducia in te, Umat: sono certo che sarai presto il loro
capo e che sarai un buon capo. Io metto il mio mondo nelle tue mani, perché tu
lo renda prospero e meraviglioso, simile al mondo che vi è stato strappato,
altrettanto ricco e colmo di doni e perché il cielo possa tornare a vedere
danze e udire canti.
Voglio che, dopo la mia scomparsa, tu dia a questa terra il nome del tuo mondo d’origine e qui ricostruisca un nuovo regno.
Voglio che tu regni come Re del Sole, e che i tuoi figli siano Stelle della Terra.
Proteggetela, come lei vi protegge.
Abbiatene cura, come ha avuto cura di voi.
Amatela come vi ama, come noi l’abbiamo amata.
Ci è stata madre, vi sarà madre.
Ascoltate la sua voce e i vostri passi saranno sicuri.
Beneditela, poiché da essa siete benedetti.
Rispettatela, perché è immensa la sua saggezza, anche se a volte potrete non comprenderne le azioni.
Abbiate eterna gratitudine, perché vi ha accolti quando non avevate più un mondo, quando non avevate più nemmeno il conforto di un punto nel cielo dove posare lo sguardo.
Questo giorno segna la fine di una lunga era: domani sarà una Terra nuova e sarà vostra.
Questo io ti ordino, come ultimo desiderio di un vecchio, l’ultimo vecchio della sua specie.”
Umat inghiottì le lacrime: “Ma non sei così vecchio, padre. E sei ancora in forze, non puoi andartene ora!”
Kaam rise: “Ora, domani, tra un anno, che importa? Sono più vecchio di quanto vorrei, figlio mio, e sono stanco, la mia gente mi manca.
Ovunque siano, desidero unirmi a loro, anche se questo significa doverti lasciare. Ma non ti lascio solo: ti lascio alla tua gente perché ne diventi la guida.
Sarai la sua storia, passata e futura, hai un domani.
Permettimi di riposare, permetti al mio spirito di unirsi agli spiriti del mio popolo.”
Umat abbracciò il vecchio, senza più protestare, stringendo i denti per non piangere.
Più tardi catturò un grosso pesce, lo pulì, lo cucinò su pietre roventi e lo consumò insieme a Kaam, suo padre.
Restarono a lungo a guardare l’acqua scorrere ai loro piedi, poi si avviarono alla capanna di Kaam, perché era stanco e voleva distendersi.
Quando scese la notte, il giovane Mureano rimase accanto al vecchio addormentato, finché capì che era il momento di lasciarlo in solitudine, perché così doveva essere.
Gli rimboccò la coperta, gli diede un bacio sulla fronte squamosa, gli pose al fianco il bastone, l’arco e la faretra colma di frecce, la pietra bianca della sua famiglia e, in silenzio, uscì nella notte.
Iah splendeva chiara, silenziosa e malinconica nel cielo cristallino.
¬¬¬
Accidenti a te!!! Mi hai fatto piangere!!! E più di una volta!!!
RispondiEliminaTi devo dire però che dalla morte di Khaam il racconto è stato troppo frettoloso...
Sei sempre un mito!!!
Ehmmm...sai che ne avevo aggiunto un pezzo, ma mi sono dimenticata di correggere il post?
EliminaNon tanto, perché la parte finale è solo l'introduzione a come la fine di un'era, il Cretacico, dia inizio a qualcosa di totalmente nuovo, ma un pezzetto in più c'è...
Magari lo posto...
Fatto, ho postato.
EliminaLe aggiunte sono piccine piccine, poche righe l'una, ma la storia doveva essere così, un racconto delle Origini, una specie di introduzione a cose che verranno.
Se tutto va come dovrebbe, ci saranno illustrazioni e una parte che ho deciso di non postare, di una decina di pagine di note, in cui si spiegano una serie di cose, sia a livello astronomico che sull'uso dell'oro, sul presunto pianeta da cui proverrebbero gli Anunnak ecc.
Purtroppo la morte di Kaam è proprio una comparsa, ma doveva essere così: un minimo di cronaca del passaggio di consegne, se vogliamo.
Le stesse fonti che parlano dei rettiloidi Lemuriani sono vaghe e contradditorie.
Non che le fonti su Atlantide, moooooolto più recente, siano molto meglio, eh! :/
Ciotti!
Ok ti perdono :)
EliminaFiùùùùùùùùùùùùùù!!!!!!!!!!!!!!
Elimina